Risultati ottenuti da due differenti studi effettuati su campioni eterogenei di popolazione negli Stati Uniti hanno contribuito a confermare ulteriormente che esercizio fisico e buone condizioni cardiovascolari possono rallentare il declino cognitivo durante la terza età.
I risultati più recenti provengono da nuove analisi dal Northern Manhattan Study (NOMAS), uno studio prospettico basato su una popolazione originariamente ideato per valutare l’effetto di vari fattori di rischio sull’incidenza dello stroke in una comunità coorte eterogenea dal punto di vista etnico/razziale.
Per effettuare queste due nuove analisi, pubblicate su due diversi articoli, i ricercatori dell’Università di Miami, Florida e Università di Columbia hanno riesaminato i dati relativi a vari fattori di rischio e come questi ultimi influenzano la funzione cognitiva della tarda età
Nello studio sull’esercizio fisico, pubblicato online su Neurology il 23 Marzo u.s., soggetti che non svolgono esercizio fisico o esercizio fisico leggero manifestano un maggior declino cognitivo nella metà della VII decade di vita (65 anni) rispetto a coloro svolgono esercizio fisico moderato o intenso. La differenza tra i due gruppi di individui (nessun esercizio fisico o esercizio fisico leggero contro moderato ed intenso
esercizio fisico) corrisponde a circa 10 anni di invecchiamento.
“I nostri risultati suggeriscono che per le persone anziane, svolgere regolarmente intenso esercizio fisico potrebbe aiutare a mantenere la propria capacità cognitiva” ha commentato uno degli autori, Clinton B. Wright M.D. dell’Università di Miami. Quest'ultimo ha anche sottolineato la differenza tra esercizio fisico intenso, come ad esempio correre o nuotare, ed esercizio fisico leggero, camminare. “Per essere inclusi nel gruppo di soggetti che svolgono l'esercizio fisico di intensità moderata, è necessario svolgere attività che aumentano la frequenza cardiaca per una durata maggiore a qualche minuto diverse volte a settimana”.
Risultati sovrapponibili sono stati ottenuti anche in passato, ma soprattutto nelle popolazioni caucasiche. “Il nostro studio coinvolge una coorte proveniente da Manhattan, un vero e proprio calderone di razze ed etnie. E’ rassicurante dunque che abbiamo ottenuto evidenze a supporto dell’influenza positiva dell’esercizio fisico sulle capacità cognitive nella terza età in un campione di popolazione così eterogeneo.”
Nella seconda analisi, pubblicata online nel Journal of the American Heart Association (AHA) a Marzo u.s. i ricercatori si sono focalizzati sugli indicatori di salute cardiovascolare “Life’s Simple Seven” dell’American Heart Association: non tabagismo; peso ideale; esercizio fisico; dieta salutare; livelli pressori normali; colesterolo e glucosio.
I risultati suggeriscono che i soggetti che rispettano il maggior numero di questi indicatori hanno un declino cognitivo inferiore negli anni avvenire, in particolare in campi come la velocità di ragionamento, funzioni esecutive e memoria episodica. Dei sette indicatori di salute, non tabagismo e bassi livello di glicemia sembrano particolarmente importanti ed associati con un declino cognitivo meno pronunciato.
A proposito di questo studio il dott. Wright afferma: “Questi dati suggeriscono che un minor numero di fattori di rischio vascolari si traduce in migliori funzioni cognitive con un declino di quest’ultime rallentato a distanza di parecchi anni. Nonostante tutto ciò sia stato suggerito in passato, questa è la prima volta che tutto ciò sia stato dimostrato nel contesto di uno studio sui fattori protettivi cardiovascolari dell’AHA.
Il ricercatore ha anche sottolineato che la maggior parte dei partecipanti allo studio non aveva un buon profilo di fattori di rischio cardiovascolari. “Nemmeno uno dei partecipanti soddisfaceva tutti e sette gli indicatori di salute cardiovascolare, solo il 5% aveva 5 o 6 di questi indicatori, il 60% ne aveva solamente 2 o 3! C’è sicuramente ampio spazio al miglioramento sotto questo punto di vista.” “L’obiettivo dell’AHA di raggiungere un miglioramento del 20% in quanto a salute cardiovascolare entro il 2020 potrebbe pertanto avere effetti benefici significativi anche da punto di vista del declino cognitivo.” Nell’analisi dell’associazione tra esercizio fisico e declino cognitivo, le funzioni cognitive sono state valutate impiegando un test neuropsicologico standard in 1228 soggetti, ripetuti a distanza di 5 anni in 876
individui. La risonanza magnetica è stata inoltre impiegata per valutare la malattia cerebrovascolare subclinica (asintomatica).
I dati riguardanti l’attività fisica svolta nel tempo libero sono stati raccolti da registrazioni effettuate 7 anni prima al momento del reclutamento nello studio. I questionari riguardano gli equivalenti metabolici (metabolic equivalents o METs), con livelli MET uguali o maggiori di 6 equivalenti ad attività fisica moderata – pesante e livelli inferiori a 6 a attività leggera. Attività fisica leggera o nessuna attività fisica sono state combinate in un unico gruppo di controllo. L’attività fisica moderata e pesante corrispondeva al 10% dei partecipanti contro il 90% che non svolgeva alcuna attività o un’attività fisica leggera.
Una volta aggiustati per fattori sociodemografici, fattori di rischio cardiovascolari e dati di risonanza magnetica (volume dell’iperintensità della sostanza bianca, infarti cerebrali silenti, volume cerebrale), i risultati hanno dimostrato che svolgere nessuna attività fisica o attività fisica leggera si associa a peggiori punteggi riguardanti funzioni esecutive, memoria semantica e velocità di ragionamento alla prima valutazione delle funzioni cognitive. Le associazioni si attenuavano e divenivano non significative una volta che i risultati venivano aggiustati per fattori di rischio vascolari. Nonostante ciò, nell’ambito degli individui che risultavano cognitivamente normali alla prima valutazione, coloro che non eseguivano attività fisica o ne eseguivano di intensità leggera il declino della velocità di ragionamento e della memoria episodica era più veloce rispetto ai soggetti che svolgevano intenso esercizio fisico, e questa differenza persisteva anche dopo aggiustamento per fattori sociodemografici e fattori di rischio vascolari.
I ricercatori concludono che l’aumento dell’attività fisica è verosimilmente un obiettivo terapeutico per il declino cognitivo durante l’invecchiamento, ed è un obiettivo estremamente allettante in quanto ridurrebbe il peso che i pazienti con disturbi cognitivi hanno sulla sanità pubblica in relazione al suo basso costo, mancanza di interazione con farmaci e indubbi altri effetti benefici sulla salute.
L’analisi dei fattori cardiovascolari ha seguito la stessa procedura, con 1033 partecipanti dallo studio NOMAS che avevano dati riguardanti i sette fattori protettivi cardiovascolari e che si sono sottoposti al test neuropsicologico; 722 di questi lo hanno ripetuto a distanza di 6 anni.
I risultati hanno dimostrato che un maggior numero di fattori protettivi cardiovascolari era associato con una velocità di ragionamento migliore alla valutazione inziale e un declino cognitivo rallentato. L’associazione più forte riguardava il non tabagismo e bassi livelli glicemici. Tra gli individui con migliori funzioni cognitive alla valutazione inziale, un’associazione positiva è stata osservata tra numero di fattori protettivi cardiovascolari e declino inferiore nell’ambito di funzioni esecutive e memoria episodica.
“La relazione tra fattori protettivi cardiovascolari e funzioni cognitive nel nostro studio, come in altri, supporta l’importanza del ruolo del danno vascolare e dei processi metabolici nell’eziologia dell’invecchiamento cognitivo e della demenza” scrive il ricercatore. Questi concludono: “Soddisfare gli indicatori di salute cardiovascolare dell’AHA potrebbe avere benefici per la salute del cervello oltre che avere un ruolo nella prevenzione dell’infarto miocardico e dello stroke, perfino tra i soggetti anziani, sottolineando l’importanza delle iniziative che promuovono la sanità pubblica volte al raggiungimento di questi 7 indicatori di salute.”
Questi aggiungono che in considerazione dell’invecchiamento della popolazione generale e l’aumento della proporzione di individui esposti al rischio di sviluppare disturbi delle funzioni cognitive “le implicazioni sulla sanità pubblica a mirare al raggiungimento di questi fattori di rischio modificabili sono sostanziali.” Questi studi sono stati promossi dall’Istituto Nazionale della Sanità e dall’Istituto Nazionale dei Disturbi Neurologici e dello Stroke. Dott.Wright è sponsorizzato da concessioni dall’Istituto Nazionale Cuore, Polmoni e Sangue.
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